L'arte di non vedere
Il mare, le coste hanno uno speciale richiamo per i fotografi.
Luoghi che invitano verso quella che nella filosofia Zen potremmo chiamare malamente illuminazione, in cui “il vero vedere è quando non c’è più nulla da vedere”.
Il mare può offrirci la drammaticità dei suoi cambiamenti e può essere utilizzato per esprimere un’ampia gamma di emozioni, dal turbamento al sublime. Ho cercato di catturare la calma con un linguaggio fotografico dalla semplicità minimalista, per l'appunto quasi … Zen, rilassante da guardare, considerando il mare come momento più alto di sospensione temporale, di quiete assoluta. Metafora per descrivere i miei rapporti con la fotografia, il mondo e me stesso. Un esercizio di fotografia istintiva in cui la vita accade, ma il soggetto di quel vivere è svanito in quanto non interpreta più se stesso: è muto, neutro, trasparente. Quindi c’è il mio stupore per quell’accadere della vita che avviene a prescindere, oltre la possibilità e la volontà di controllarlo anelando a uno stato di semplicità, di pace, senza forzare. Tentativo di raggiungere un equilibrio spirituale tra me, il mezzo fotografico, il soggetto e l’ambiente. Provo ad attivare una specie di satori dello zen (termine tradotto come illuminazione, sensazione di gioia, intuizione) sia nel momento dello scatto, come esperienza improvvisa e profonda che consente la “visione del cuore delle cose”, sia in camera oscura digitale, dove intervengo per rafforzare gli elementi che avevo percepito durante la ripresa. In queste fotografie la mia scelta di far prevale il bianco vuole evitare l’attribuzione di codici a cui siamo culturalmente troppo legati, come ad esempio il blu profondo del mare. La quasi monocromia crea un’atmosfera di silenzio: immagini che profumano di tempi lunghi, di attesa.