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Oltre la "retro...spettiva".

date » 24-05-2014 09:43

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Friedrich, Caspar David (1774-1840)
Pittore tedesco apprezzato, molti anni dopo la sua morte, per le peculiarità dei suoi paesaggi. La pittura di paesaggio, fino all’epoca di Friedrich, presentava la natura come elemento vitale dell’esperienza umana. Il paesaggio invita l’osservatore a muoversi al suo interno, nella sua tradizionale suddivisione in tre piani (primo e secondo piano, sfondo) il secondo piano svolge l’importante funzione mettere in connessione ciò che è vicino (grande in scala, ma in realtà piccolo), con ciò che è lontano (piccolo in scala, ma in realtà grande) liberando così l’uomo dall’opprimente sensazione della sua piccolezza di fronte allo spazio. In molti paesaggi di Friedrich si nota invece la mancanza del secondo piano in questa sua valenza mediatrice. Lo spazio del dipinto risulta suddiviso in una zona in primo piano spesso animata da figure, a cui fa immediatamente seguito lo sfondo, per lo più nettamente separato da quella, così da apparire lontano e irraggiungibile. Lo spettatore che voglia stabilire delle misure non riesce ad orientare lo sguardo, per cui lo sfondo si presenta come una visione, come la meta di un desiderio nostalgico o anche l’oggetto di una occulta paura (Monaco sulla spiaggia). (Viandante sul mare di nebbia; Donna al sole del mattino; Paesaggio serale con due uomini).

In questo suo modo di rappresentare il paesaggio, e tra il primo piano e lo sfondo, Friedrich spesso inserisce figure viste di spalle, figure sempre portatrici di un messaggio sull’uomo. Spesso si tratta di viandanti, turisti, cittadini che vanno a simboleggiare la transitorietà dell’esistenza terrena, sottolineando il significato dei diversi settori dello spazio, per cui il primo piano rappresenta il mondo terreno, mentre lo sfondo il mondo ultraterreno. La vista dell’infinito, per esempio dell’aria o del mare, risveglia un senso di tranquilla malinconia, e comunque di mistero. I contenuti di Friedrich sono profondamente romantici, cioè un’espressione del sublime, del misterioso, dello sconosciuto, dell’infinito, basati sulla vita dei sentimenti, sul rapporto uomo –natura. Finitezza dell’uomo e infinità della natura, solitudine individuale e comunione con l’universo. Friedrich riesce a creare nei suoi dipinti una dualità unificata tra uomo e natura, una delle ragioni per cui di fronte alle sue opere ci prende un senso di rapimento, di ammirazione e di misterioso disagio.

Eduard Boubat (1923-1999)
Fotografo e giornalista, della cosiddetta fotografia umanistica francese.
Quelle persone girate dall’altra parte cosa guardano? Cosa guarda il fotografo assieme a loro? C’è sempre un orizzonte, oltre. Le fotografie di Boubat si aprono, fanno respirare l’osservatore. Fotografie per chi ama la lentezza. In una frase scritta sul suo taccuino (1999) appunta “Dio si presenta di spalle”, e forse questo spiega tutto.



Elina Brotherus (1972- )
In una corrente della fotografia contemporanea si parla di immagine-performance. L’immagine diventa prestazione (performance) nel momento in cui è l’unica finalità di quanto viene mostrato: la messa in scena fa l’immagine, la posa è stabilita per l’immagine. La sua teatralità non ha la vocazione di produrre un messaggio, ma di aprire il senso. L’immagine-performance va pensata nell’incontro tra il punto di vista dell’attore e lo spettatore, e non come la relazione tra una cosa vista da un fotografo e presentata (riportata) a uno spettatore come risultato di questa visione. In quanto autore dell’operazione-sguardo, il fotografo scompare nell’immagine-performance. L’immagine conserva questa relazione privilegiata tra attore e spettatore, dato che è proprio per quest’ultimo che conta. Elina Brotherus mantenendo intatto il meccanismo di composizione sperimentato da Friedrich duecento anni prima, dispone le figure umane facendole interpretare nell’immagine e per l’immagine, il ruolo della figura romantica della contemplazione. La calma è una caratteristica che si propaga dalle immagini di Elina Brotherus per arrivare fino a noi che le guardiamo, catturandoci al loro interno per una fruizione che non ci pone più di fronte all’opera ma che, viceversa, ci proietta al suo interno, ci catapulta in quel prato in quello spiazzo, in quella spiaggia, dicendoci: “guarda, siamo qui”, e in questo c’è tutta la volontà di vivere insieme che la condizione della solitudine afferma.


Sandro Lombardo
Oltre la “retro…spettiva”. Mi è capitato di provare a sviluppare il tema della reciprocità della visione. “Retro”: termine utilizzabile in maniera ambivalente, da una parte la possibilità di trasmettere l’idea di posteriorità temporale, dall’altra quella di posteriorità prettamente fisica, spaziale. Questo concetto mi è servito per raggiungere due mete: in una ho cercato di evitare la manipolazione della spontaneità, della “messa in posa” dei soggetti destinati ad entrare nell’obiettivo fotografico. Nell’altra volevo fare in modo che i soggetti stessi, così ripresi, rappresentassero una sorta di diaframma, attraverso cui si passa dalla loro “posteriorità”, a ciò che davanti si immagina di intravedere: il loro per così dire “oltre”.

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