Nell’accezione comune e in numerose culture, le celebrazioni religiose dell’evento funebre si pensa che abbiano richiami di ordine metafisico. In questi contesti antropologici spesso il rito funebre diventa una esplosione esistenziale, una esternazione dell’inconscio collettivo. Attraverso queste usanze l’uomo esce dalla sua condizione di uomo solo, per ritrovarsi parte di un gruppo, di una classe, di un ambiente urbano. Leonardo Sciascia viceversa, in un’altra interpretazione di questi comportamenti umani, sosteneva che la religiosità (ad esempio dei siciliani) non ha nulla di metafisico ma è fondamentalmente materialista.
L’affissione dei manifesti funebri può entrare a far parte di quei rituali e canoni di esternazione di sentimenti di dolore, a conferma dell’avvenuto passaggio dalla terrena esistenza allo stato spirituale. Questi manifesti mi sono apparsi in qualche maniera vivi ed incastonati in un tessuto urbano vivo. Possiedono una sorta di ritmo organico, un respiro. In un meccanismo che dallo sprofondo subito riemerge: lo stesso meccanismo della memoria e, perché no, forse della stessa storia dell’arte. Anche queste epigrafi funerarie sono comunque fatte di materia. Anch’esse vengono consumate dal tempo e diventano progressivamente frammenti, come d’altra parte lo sono le nostre vite nel mondo. Frammenti che infine scompaiono completamente lasciando riapparire la materia stessa a cui erano state incollate e sovrapposte, quale metafora della medesima esistenza umana.